Trama
“Lady Macbeth” è ispirata dalla tragedia senza tempo di Shakespeare. La performance si concentra sulla devastante e desolante storia d’amore tra Macbeth e sua moglie. La loro passione, ambizione e instancabile ricerca del potere li fa cadere vittima dei loro stessi intrighi. Shakespeare ha infuso questo dramma con sentimenti eterni e universali, motivo per cui la nostra storia è ambientata in un periodo di tempo e luogo imprecisato. Inizia dove finisce la versione di Shakespeare: i Macbeth sono morti. Liberati dai loro tormenti terreni, sono comunque condannati a rivivere all’infinito il periodo più oscuro del loro passato – una punizione inflitta loro e che a loro volta si infliggono a vicenda. Si incolpano l’un l’altro, vedendo l’altro come il vero colpevole. I pensieri prendono forma, i personaggi prendono vita e rivivono gli eventi drammatici di cui erano stati protagonisti. Ma come i ricordi, questi eventi cambiano nel tempo. Per di più: il loro incubo è intervallato da momenti di amore e tenerezza. “Lady Macbeth” è un dramma sulla vita e la morte, e sulle ambigue relazioni tra le persone, portando il pubblico in un viaggio alla scoperta delle complessità della psiche umana.
Trama
La ricerca della felicità è un tema millenario e fondamentale per ogni essere umano, un percorso capace di aprire nuovi orizzonti: dal fascino delle grandi idee, fino alla meraviglia delle piccole cose.
Simone Cristicchi presenta il suo nuovo progetto teatrale, spettacolo che si disvela tra canzoni, racconti e videoproiezioni tratte dall’omonimo documentario, presentandosi al pubblico come un cartografo dopo un lungo viaggio, aprendo la sua valigia di “ricercautore”, cercando di rispondere a domande importanti e vitali. Che cos’è la felicità?
Cosa ci impedisce di essere felici?
Esiste una ricetta per vivere in armonia?
Trama
Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre sym. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare?
La storia si svolge durante una cena fra amici, appunto, quando decidono di fare una specie di gioco della verità mettendo i loro cellulari sul tavolo e per la durata della stessa messaggi e telefonate sono condivisi tra loro, mettendo a conoscenza l’un l’altro dei segreti più profondi; viene fuori
tutta la nostra vulnerabilità che trova asilo nel nostro essere imperfetti……..
I protagonisti della cena sono sicuramente iperbolici, ma frangibili, nessuno conosce nessuno…… visto da vicino nessuno è normale!
Trama
Voci. E Fantasmi. Talvolta fantasmi di fantasmi.
Cinque attori: danno voce a un mondo, a un paese, ai suoi abitanti e pure ai loro carnefici. Raccontano – quasi fosse un’opera sinfonica a più voci – la storia di Fontamara, dei Fontamaresi, di Berardo Viola e di Elvira. Le voci dei protagonisti si accavallano con quelle dei personaggi minori: ogni attore deve acrobaticamente passare da un’identità all’altra. Giuvà, Matalè, il loro figlio, Marietta, Scarpone, e poi il generale Baldissera, Papasisto, Venerdì Santo, Ponzio Pilato, Betta Limona, l’impresario, il cavalier Pelino, don Baldissera, le mogli, i carabinieri, un prete venduto, un canonico disperato… un mondo si affolla sul palcoscenico attraverso una partitura ferrea, un’alternanza di presenze e testimonianze. Perché di testimoni si sta parlando: quasi fossimo di fronte a un giudice, o forse al Giudizio Universale, sono tutti chiamati a ricostruire quei giorni osceni pieni di vergogna violenza e disumano accanimento sui più indifesi.
Mano a mano che l’intreccio di sviluppa, prendono corpo le storie dei Fontamaresi e degli abusi dei poteri forti ai loro danni. Più l’ombra incombente del fascismo che si sposa con gli interessi dei latifondisti. E insieme, la storia dei due protagonisti assenti, Berardo ed Elvira: in mezzo a questo concertato di voci, solo le loro mancano. Berardo ed Elvira esistono solo nel ricordo degli altri. Eppure, qui, sono tutti fantasmi. A parte un unico sopravvissuto: il figlio di Giuvà e Matalè. Solo lui si è salvato. Da lui parte il racconto: se fossimo davvero di fronte a un tribunale, lui sarebbe il supertestimone, quello da proteggere, quello da cui dipende la riuscita o meno del processo. Lui evoca tutti i fantasmi, e i fantasmi si presentano e – a loro volta – i fantasmi ne generano altri e altri e altri ancora. Fino alla fine. Fino alla strage. Fino al genocidio. Perché di genocidio si tratta.
Trama
Il vecchio mercante Abacuc viene in possesso di una misteriosamente
pergamena che reca il sigillo imperiale. Quel prezioso documento conferisce al
suo possessore, purché blasonato, la proprietà dell’antico feudo di Castra Tulli
nella lontana terra d’Abruzzo. Abacuc, aiutato da Gracchio e dal Longobardo,
decide di cercare al torneo cavalleresco de li Malatesta un nobile disposto ad
accettare l’investitura. Brancaleone da Norcia, neanche a dirlo, è il predestinato.
Solo dopo aver stabilito alcune regole di comportamento, quell’allegra comitiva,
assai improvvisata, comincia la sua marcia avventurosa verso lo feudo di Castra
Tulli. Tra valli, colline e montagne, l’armata di Brancaleone affronterà peripezie
di ogni sorta che metteranno a dura prova il coraggio e la forza di ognuno. Ma
proprio quando il nobile cavaliere della terra di Norcia raggiunge le alte torri di
quella città promessa, un’oscura minaccia arriva dal mare.
Trama
Il Misantropo, quanto mai attuale, è un testo che dopo tanta civetteria, convenzioni e barocchismi dorati, arriva stretto come un nodo alla gola: sembra un quadro perfetto del momento che stiamo vivendo, nella disillusione verso un mondo non meritocratico, dove la soluzione è sempre nel compromesso e spesso nella totale evasione dalla legalità, dove la menzogna trova strade più facili e tollerabili della verità.
Trama
Flavio Oreglio e David Riondino realizzano un “incontro a due col libero pensiero” e utilizzando i linguaggi della canzone d’autore, della poesia e del monologo, venati di senso critico e vestiti a tratti di lessico satirico – umoristico, e narrano storie semplici, portando in scena alcune riflessioni sulla vita per come si presenta nella società del giorno d’oggi.
Si parla di storia e di memoria, delle relazioni con gli altri e di politica, di piccoli e normali fatti quotidiani e dei grandi temi della cultura e della tradizione.
Un vero concerto che sposa il teatro di parola, un incontro per sorridere pensando.
Trama
Lo spettacolo nasce da un’idea del giornalista e scrittore Andrea Scanzi, gaberiano doc. E pensare che c’era Giorgio Gaber racconta del Gaber teatrale, quello che ha il coraggio di lasciare la popolarità televisiva, e che, con Sandro Luporini, entra nella storia.
“Ho visto per la prima volta Giorgio Gaber nel ’91 a Fiesole ed è da allora che gli voglio bene; sono terrorizzato dall’idea che la sua memoria si perda. – spiega Scanzi. Il nome Gaber lo conoscono tutti, ma se vai a scavare ti accorgi che Giorgio Gaber è conosciuto solo in modo superficiale. Il Gaber più forte, quello più geniale, è spesso quello che meno si conosce. Sono convinto che Gaber e Luporini siano stati profetici almeno quanto Pasolini. In ogni loro canzone e monologo ci sono degli elementi di lucidità, profezia e forza che sono qualcosa d’incredibile. La presenza scenica, la mimica, la lucidità profetica, il gusto anarcoide per la provocazione, il coraggio (a volte brutale) di “buttare lì qualcosa” e l’avere anticipato così drammaticamente i tempi, fanno del pensiero di Gaber-Luporini, oggi più che mai, un attualissimo riferimento per personaggi della politica, dello spettacolo, della cultura, del nostro sociale quotidiano”. E pensare che c’era Giorgio Gaber è uno spettacolo per non dimenticare un artista eccezionale, che segue il fortunatissimo Gaber se fosse Gaber, con cui Andrea Scanzi è andato in scena più di 150 volte.
“La regola è chiara – aggiunge Scanzi – sono disponibile a portare lo spettacolo in tutti quei Comuni che, oltre a mettere in scena lo spettacolo, si impegneranno a intitolare una via, una biblioteca, o cosa riterranno più opportuno, a Giorgio Gaber. Viva Gaber!”